Recensioni: Scott Atran

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Sull’ultimo numero di Internazionale, un lunghissimo articolo di Scott Atran intitolato “Rivoluzione e Stato Islamico”.

Antropologo, dopo aver intervistato decine di partecipanti al conflitto siriano di tutte le fazioni, ha scritto questo testo il cui riassunto potrebbe essere nella parole di George Orwell da lui stesso citate:

“Gli esseri umani non vogliono solo comodità, sicurezza, orario di lavoro ridotto, igiene e, in generale, ciò che è sensato desiderare. Vogliono, almeno ogni tanto, anche lotta e sacrifici. Mentre il socialismo, e con maggior riluttanza perfino il capitalismo, dicono al popolo “ti offro di vivere bene”, Hitler dice “ti offro la lotta, il pericolo e la morte”, e un intero paese si getta ai suoi piedi”. Si tratta di concetti molto simili, ma espressi infinitamente meglio, di quelli che modestamente avevo provato ad esprimere in questo mio post precedente. 

Il testo dell’articolo è complesso, e comprende tra le altre cose delle analisi militari ed uno studio della percezione che hanno le popolazioni della zona riguardo agli stati di cui sono cittadini.

Il tentativo di creare delle identità nazionali fittizie in seguito agli accordi di pace del primo dopoguerra tra stati europei sarebbe sostanzialmente fallito ed “il Califfato” verrebbe visto da molti musulmani sunniti come una alternativa desiderabile a quelle che sono strutture sostanzialmente imposte dall’alto e dall’esterno, magari disapprovando i metodi che “il Califfato reale” sta mettendo in atto nella sua guerra contro il resto del mondo. Alcuni degli intervistati si sono spinti a paragonare il proprio desiderio per una nuova unione, magari federata, “alla bimillenaria nostalgia degli ebrei per la terra di Sion”.

Ma il punto centrale, quello che ha toccato in me le corde più profonde e che a mio parere va al centro del problema, è che l'”Islam moderato” che i governi occidentali si sforzano di favorire rispetto all’ “Islam radicale”, ha su molti giovani lo stesso livello di attrattiva che potrebbe avere una vecchia grinzosa che cammina col bastone e biascica le parole.

Gran parte delle persone, e i giovani in particolare, hanno bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande di loro: un gruppo di cui far parte, in cui identificarsi, con cui sentire fratellanza, possibilmente con il collante di una Grande Idea per la quale essere disposti a sacrificarsi, andare in carcere, morire e uccidere. E’ ciò che successe ai rivoluzionari americani ed europei del diciottesimo e diciannovesimo secolo, ed è un genere di collante che può far ribaltare militarmente situazioni di apparente squilibrio schiacciante. Non è un caso che gli unici successi militari sul terreno contro l’Isis siano stati colti dai Kurdi e dagli Iraniani.

E’ per molti versi lo stesso genere di bisogno di avventura e fratellanza che ha speso moltissimi di noi a partire per il Chiapas, a suo tempo, o per la Spagna due generazioni prima. Spesso è la stessa radice dell’impegno politico di molti, ed anche delle infinite diatribe tra i mille tristi gruppuscoli che costituiscono l’estrema sinistra europea.

Ma quanti giovani sono disposti a rischiare morte, dolore, ferite e disabilità per la difesa degli stati democratici attuali? Solo YPG, che è una realtà rivoluzionaria, ha ricevuto il supporto di circa quattrocento combattenti stranieri, ma per Daesh sono andati a combattere in decine di migliaia.

Per questo, dice l’autore, è inutile continuare a negare la qualifica di “Stato” allo Stato Islamico, che già lo è di fatto, e soprattutto è inutile negare che la sua lotta abbia un carattere rivoluzionario. Questo non significa che sia una rivoluzione che ci piace, né che vincerà militarmente: ma potrebbe, oppure potrebbe avere conseguenze a lunghissimo termine che non possiamo nemmeno immaginare, anche in caso di sconfitta.

Un articolo a mio parere fondamentale, e profondo. Lo consiglio a tutti. Buona giornata,

 

Scialuppe

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